I compensi del fondo di istituto non vanno esposti all'albo

Segnaliamo il parere recentemente espresso dalla Avvocatura dello Stato di Bologna in materia di accesso agli atti amministrativi relativi ai compensi accessori liquidati al personale della scuola.
L'Avvocatura ha risposto in particolare ai seguenti quesiti:

  1. il Consiglio di Istituto può o deve conoscere il dettaglio dei singoli compensi accessori attribuiti a ciascun dipendente?
  2. il singolo componente del Consiglio di Istituto ha diritto a conoscere il dettaglio dei compensi liquidati a ciascun dipendente per attività aggiuntive?
  3. in caso affermativo è legittimo che il membro del Consiglio motivi il diritto all'accesso con la volontà di operare controlli sulla correttezza dell'operato dell'Amministrazione?
  4. il delegato sindacale ha diritto a prendere visione, in via riservata, dei prospetti nominativi relativi alla distribuzione del compenso?
  5. il delegato sindacale ha diritto a richiedere l'affissione all'Albo della Scuola dei predetti prospetti ?

Con ampie a articolate motivazioni l'Avvocatura risponde negativemente a tutte le domande precedenti.
Il testo completo del parere è riportato qui di sotto:


Parere dell'Avvocatura di Stato
In merito alla riservatezza ed accesso agli atti amministrativi con riguardo alla riservatezza di terzi e alle relazioni sindacali
Bologna, 8 febbraio 2001, prot.2524, CS 32/01


Con la nota a margine indicata, codesta istituzione scolastica pone una serie di quesiti attinenti, da un lato, ai limiti del diritto di accesso agli atti amministrativi ed al connesso diritto alla riservatezza di terzi e, d'altro canto, alle relazioni sindacali.
Si osserva preliminarmente che i quesiti posti attengono gli uni e gli altri al rapporto interno all'istituzione scolastica: da un lato al rapporto fra organi di questa (es. rapporti tra consiglio d'istituto e il dirigente scolastico), dall'altro alle relazioni fra le componenti dell'istituzione stessa (es. poteri del delegato sindacale nei confronti della parte datoriale).
In particolare, le questioni dedotte attengono alla organizzazione e gestione dei rapporti di lavoro.
Al fine di meglio comprendere la risposta agli specifici quesiti posti, si reputa necessaria una premessa circa l'allocazione delle competenze fra gli organi delle istituzioni scolastiche ed il conseguente ruolo reciproco degli stessi organi in materia di organizzazione e gestione dei rapporti di lavoro dopo l'attuazione dell'art. 21 L. n. 59/1997, attraverso in particolare l'art. 25 bis del D.Lgs. n. 29/1993 ed il D.P.R. n. 275/1999.
È evidente, infatti, che l'esercizio delle competenze istituzionali da parte degli organi pubblici (e per essi, dei propri componenti) comporta la necessità di conoscenza dei dati (anche) personali attinenti alle questioni trattate.
In tali casi e per tali finalità e limiti, pertanto, non si fa questione di accesso agli atti amministrativi (art. 22 e ss. L. n. 241/90), riguardando il diritto di accesso non il rapporto “interno” di esercizio delle competenze istituzionali, bensì quello “esterno” intercorrente fra l'amministrazione e i soggetti (eventualmente anche dipendenti o componenti di organi dell'amministrazione) che abbiano un interesse giuridicamente rilevante all'accesso, estraneo ed al di fuori delle funzioni istituzionali.
Tale logico presupposto è confermato espressamente dall'art. 27, primo comma, della L. n. 675/1996 che, in materia di trattamento dei dati personali da parte di soggetti pubblici dispone che “il trattamento di dati personali da parte di soggetti pubblici, esclusi gli enti pubblici economici, è consentito soltanto per lo svolgimento delle funzioni istituzionali, nei limiti stabiliti dalla legge e dai regolamenti”. Poiché, inoltre, i dati personali devono essere trattati rispettando il principio di pertinenza e non eccedenza rispetto alla finalità per i quali gli stessi sono raccolti e trattati (art. 9 L. cit.), la competenza istituzionale di ciascun organo pubblico costituirà ad un tempo legittimazione e limite della conoscenza dei dati personali da trattare.

Venendo allora alle competenze del Consiglio d'Istituto, su cui vertono i primi tre quesiti posti, si osserva quanto segue.
Come noto, l'unica disposizione legislativa che si occupa ex professo delle competenze del Consiglio d'Istituto è tuttora l'art. 10 T.U. n. 297\1994.
In base a tale disposizione, il Consiglio d'Istituto:

Le disposizioni contenute nel DPR n. 275/99 non sono innovative su tale punto né avrebbero potuto esserlo non avendo ricevuto alcuna delega al riguardo dalla fonte legislativa di cui costituiscono attuazione (art. 21 L. n. 59/97): esse danno per presupposta la scansione e ripartizione di competenze fra gli organi come prevista da altra fonte legislativa a ciò destinata (così avviene in riferimento all'art. 3 relativamente all'adozione del Piano dell'offerta formativa).
A tale ambito di competenza, cui fa sfondo un'articolazione dell'amministrazione della Pubblica Istruzione fortemente accentrata, si accompagna l'individuazione delle competenze del Capo d'Istituto operata dall'art. 396 T.U. come docente fra i docenti, chiamato a coordinare o proporre o eseguire decisioni adottate da altri organi, più che ad organizzare o ad assumere decisioni autonome.
Tale ultima disposizione è da ritenersi tacitamente abrogata dall'art. 25 bis del D. Lgs. N. 29 del 1993, che disciplina la competenza del dirigente scolastico nel nuovo sistema organizzativo delineato dall'art. 21 della L. 59/97.
In base a tale norma, il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dell'istituzione, ne ha la legale rappresentanza, è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e dei risultati del servizio; ad esso spettano autonomi poteri di direzione, coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane; nell'ambito delle funzioni attribuite alle istituzioni scolastiche spetta al dirigente l'adozione dei provvedimenti di gestione delle risorse del personale.
Da tale disposizione emerge che, seppure con carattere di specificità il dirigente scolastico partecipa comunque della generale funzione dirigenziale pubblica, come attesta la collocazione sistematica degli art. 25 bis e ter, che il D. lgs. 59/98 ha inserito nel D. Lgs. 29/93, interpolando il capo della “dirigenza” (capo secondo).
L'art. 25 bis costituisce dunque settoriale applicazione delle prerogative attribuite alla dirigenza dal D. Lgs. N. 29 (art. 13 e ss.). A tali prerogative si correla ineluttabilmente il principio di separazione tra funzione di indirizzo politico-amministrativo e funzione di attuazione e gestione applicabile a tutti gli enti pubblici: a tale principio sono vincolate infatti tutte le amministrazioni pubbliche, anche quelle i cui organi di vertici non siano direttamente o indirettamente espressione di rappresentanza politica (art. 3, ultimo comma u.c. e 27 bis D. Lgs. N. 29) e dunque anche le istituzioni scolastiche allorché siano divenute enti pubblici autonomi.
La potenziale antinomia risultante dal contesto legislativo così descritto fra le disposizioni che disegnano le competenze del Consiglio d'Istituto, organo con funzioni di indirizzo amministrativo, nella parte in cui le stesse assegnano ad esso anche funzioni di gestione, e l'art. 25 bis del D. Lgs. 29 del 1993 nella parte in cui attribuisce le competenze di gestione al dirigente scolastico, va sanata in via interpretativa.

A tal fine, in attesa di un intervento legislativo che individui in via espressa, diretta e dettagliata le attribuzioni riservate alla sfera di indirizzo e quelle riservate alla sfera gestoria “dirigenziale”, il Consiglio di Stato (Cons.Stato, II sezione, 27.10.1999 n.1603/99), intervenendo proprio sul punto del coordinamento fra l'art. 10 T.U. e l'art. 25 bis D.Lgs n. 29, ha ritenuto risolta la questione considerando prevalente la disciplina di cui all'art. 25 bis D.Lgs. n. 29/93, in base al principio dell'abrogazione implicita per incompatibilità della legge precedente ad opera di legge successiva (art. 15 delle preleggi).

L'impostazione seguita dal Consiglio di stato, così come quella della ulteriore giurisprudenza amministrativa che si è espressa in materia (TAR Emilia Romagna, Bologna,I, 12.12.98 n.425, sulla ripartizione di competenza fra gli organi delle università degli studi; TAR Puglia, Bari, II, 23.3.2000, n.1248, sulla ripartizione di competenze fra gli organi dei Comuni; significativa sul punto è anche la circolare del Ministero dell'Interno n. 4 del 10.10.1998) e della dottrina (Gardini, Brevi note sulla distinzione tra funzioni di indirizzo e gestione nelle Università, in Giust.Amm., rivista internet di Diritto Pubblico – http://www.giustiit.it), decisamente orientate nello stesso senso, si fondano sull'art. 3 comma 3 del D.Lgs. n. 29/93 nel testo modificato dall'art. 1 del D.lgs. n. 80/98 che ha sancito con disposizione generale che le attribuzioni dei dirigenti indicati nel comma 2 (adozione di tutti e provvedimenti amministrativi ivi compresi quelli che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, gestione finanziaria con autonomi poteri di spesa, organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo) “possono essere derogati soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”.

In tale chiave esegetica va ricordato che l'art. 45 comma 1 del D.Lgs. n. 80/98 ha espressamente disposto che “le disposizioni previdenti che conferiscono agli organi di governo l'adozione degli atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi di cui all'art. 3 comma 2 del D.Lgs 29/93, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti”.
In altri termini, la clausola “interpretativa” generale - che in realtà ha portata ed efficacia innovativa delle previdenti disposizioni sia legislative che statuarie e regolamentari – assicura l'obbligatoria devoluzione alla sfera della competenza dirigenziale di tutti gli atti e i provvedimenti che non attengono all'ambito nell'indirizzo politico-amministrativo, e, a forzieri, di quelli già direttamente riconducibili all'ambito gestorio come individuato dall'art. 25 bis D.Lgs. n.29.

D'altro canto non può dubitarsi della attuale applicabilità delle disposizioni di D. Lgs. N. 23/93 e 80/98 alla dirigenza delle istituzioni scolastiche, rientrando esse nella sfera delle amministrazioni di cui all'art. 1 del D.Lgs n. 29/93.

Dal contesto legislativo sopra richiamato deriva dunque la necessità di una “rilettura” delle disposizioni del T.U. n. 297/94 di individuazione delle attribuzioni degli organi della scuola alla luce del D.Lgs. n. 23/93.

Tale “rilettura” deve essere compiuta, come peraltro statuito dal Consiglio di Stato nel citato parere, attraverso una operazione di sottrazione dal complesso di funzioni originariamente assegnate dall'art. 10 del T.U. n. 297/94 al Consiglio di Istituto, di quelle competenze che l'art.25 bis del D.Lgs. n. 29/93 attribuisce con effetto dal 1° settembre 2000 al dirigente scolastico.

Se ne deve dedurre l'attrazione della competenza del dirigente scolastico delle funzioni di gestione. La correlativa sottrazione di poteri di gestione del Consiglio d'Istituto, pur se ineluttabile, non va intesa come un depauperamento del ruolo di tale organo. Il Consiglio di Istituto, infatti, nella funzione di indirizzo, e proprio perché sgravato delle funzioni di gestione – che parallelamente aumenteranno – verrà a costituire la sede elettiva (l'unica sede) nella quale operare le scelte di fondo della sede amministrativa dando “gli indirizzi generali per l'attività della scuola” e compiendo le “scelte generali di gestione e di amministrazione” (art. 3 cit.).

Si è ben consapevoli che la descritta operazione di sottrazione è semplice solo concettualmente ed astrattamente, mentre la concreta realtà organizzativo-funzionale presenta profili meno facilmente decifrabili. Il vero problema interpretativo è quello di individuare nell'ampio novero dei provvedimenti non meramente gestionali quegli atti che attengono alle scelte di massima dell'azione amministrativa discrezionale e che, pertanto, possono costituire espressione più della funzione di indirizzo che di quella di gestione.
Ciò premesso e venendo al caso al caso concreto, si rileva alla luce delle osservazioni che precedono come il Consiglio di Istituto non abbia attualmente competenza deliberativa, trattandosi di atti meramente di gestione, in ordine ai singoli e concreti provvedimenti, tanto di natura amministrativa che contabile, culminanti nella corresponsione dei compensi aggiuntivi da erogarsi al personale scolastico (esempio: determinazione del tipo e della quantità di attività aggiuntive, accertamento dell'effettivo svolgimento dell'attività, quantificazione del compenso e liquidazione dello stesso).
In ordine a tali aspetti, il Consiglio d'Istituto, interviene, a titolo preventivo, nell'esercizio della funzione di indirizzo, nell'adozione da un lato del piano dell'offerta formativa e nell'approvazione dall'altro lato del bilancio preventivo e, a titolo successivo, nell'approvazione del conto consuntivo.
Nell'una e nell'altra azione l'intervento del Consiglio d'Istituto non deve invadere le competenze attuativo-gestionali attribuite al dirigente scolastico, nell'esercizio delle quali questo – e questo soltanto – è chiamato a rispondere a titolo di responsabilità dirigenziale (art. 25 bis D.Lgs. 29/93).
Alla luce di tali principi, non è chiaro quale funzione abbia esercitato il Consiglio di Istituto nella seduta del 30.10.2000, facendosi questione di atti di gestione, tra l'altro già adottati, da parte del competente dirigente scolastico. Ne deriva comunque la non necessarietà della conoscenza dei dati personali richiesti, essendo necessaria e sufficiente la conoscenza dell'ammontare complessivo delle somme spese e del titolo di imputazione giuridica, conoscenza che risulta necessaria e sufficiente anche relativamente all'esercizio della funzione di approvazione del bilancio consuntivo.
Escluso l'onere istituzionale di conoscenza, occorre ora verificare se residui in capo ai componenti del Consiglio di Istituto un diritto ad ottenere le informazioni richieste sub specie diritto di accesso ai documenti amministrativi ex art. 22 L.n. 241/1990. È noto che presupposto di tale diritto sia la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante, personale e concreto, diverso e differenziato da quello di qualsiasi altro soggetto dell'ordinamento, non costituendo il diritto di accesso una sorta di azione popolare diretta a consentire una forma di controllo generalizzato sull'amministrazione.
È stato costantemente affermato che: “La norma contenuta nell'art. 22, 1° comma, L. 7 agosto 1990 n. 241, pur riconoscendo il diritto di accesso ai documenti amministrativi a “chiunque vi abbia interesse”, non ha introdotto alcun tipo di azione popolare, dal momento che ha, successivamente, ricollegato siffatto interesse all'esigenza di tutela di situazioni soggettive “giuridicamente rilevanti”; pertanto, il diritto in questione costituisce un tipo di pretesa strumentale per l'eventuale tutela di posizioni qualificate , sicchè l'accesso de quo, pur conseguendo al proclamato intento di “assicurare la trasparenza dell'attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale, è consentito solo a coloro ai quali i documenti, direttamente o indirettamente, pervengano e che se ne possano, eventualmente, avvalere per la tutela di una posizione di interesse legittimo”(C.Stato, sez.VI, 01.10.1996, n.1228). Ancora: “Il diritto di accesso ai documenti riconosciuto dall'art. 22 L. 7 agosto 1990 n.241 non si atteggia come una sorta di azione popolare diretta a consentire una forma di controllo generalizzato sull'amministrazione, giacchè da una lato l'interesse che legittima ciascun soggetto all'istanza, da accertare caso per caso, deve essere personale e concreto e ricollegabile al soggetto stesso da uno specifico nesso, e dall'altro la documentazione richiesta deve essere direttamente riferibile a tale interesse, oltre che individuata o ben individuabile” (C. Stato, sez.VI, 22.05.1998, n. 820; C.Stato, sez.V, 14.04.1997, n.362). E ancora: “L'accesso agli atti amministrativi non può risolversi in uno strumento di controllo generalizzato sull'intero operato dell'amministrazione come se fosse un'azione popolare; ciò che rileva per il ricorrente è il contenuto del documento richiesto, non le modalità relative alla sua adozione o acquisizione da parte della p.a.; una siffatta aspirazione a conoscere ogni dato possibile della vicenda non sembra poter condurre ad una più proficua azione difensiva dell'interessato; nel caso in esame la richiesta di accesso ha ad oggetto una “pratica di segreteria” avente valenza di atto meramente interno suscettibile ex se di utilità per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti (C.stato, sez. IV, 09.12.1997, n.1359).
Alla luce di tali principi, ritiene la Scrivente che non sussista nel caso l'interesse giuridicamente rilevante ex art. 22 L. n. 241/90 da parte dei componenti del Consiglio d'Istituto alla conoscenza dei documenti individuati i nominativi dei docenti interessati agli emolumenti economici. Ciò a prescindere dalla circostanza che tali atti non siano ricompresi nell'elencazione del D.M. 10 gennaio 1996, n.60 di individuazione delle categorie di documenti inaccessibili per motivi di riservatezza, l'applicazione del quale presuppone l'accertata sussistenza in capo al richiedente dell'interesse giuridicamente rilevante all'accesso e dunque l'esistenza del diritto di accesso.<-BR>Peraltro, va ricordato che il Garante per la protezione dei dati personali si è più volte occupato dell'accesso dei cittadini ai documenti della pubblica amministrazione e della trasparenza nella circolazione delle informazioni a contenuto economico, statuendo che in base alla L. n. 675/1996 (art. 27 comma 3) le pubbliche amministrazioni possono divulgare questo genere di informazioni qualora la comunicazione o la diffusione sia prevista da una norma di legge o di regolamento (decisione riferita alla CCIAA di Treviso 8 giugno 1998; decisione riferita alla CCIAA di Pordenone 14 maggio 1999; parere del 13 ottobre 2000). Va a tale proposito osservato come l'esercizio del diritto di accesso rientri nel concetto di “comunicazione” definito nell'art.1, comma 2, lett. g) come “il dare conoscenza dei dati personali a uno o più soggetti determinati diversi dall'interessato, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione”.
In particolare, il Garante ha ricordato alcune disposizioni che, anche ai fini dell'art.27, comma 3, della L.n. 675/96 consentono la comunicazione e diffusione di dati a contenuto economico; ciò avviene in relazione alla L. 5 luglio 1992 n, 441, relativamente alla situazione patrimoniale dei titolari di alcune cariche elettive o direttive espressamente individuate nell'art. 12 della medesima legge (presidenti, vicepresidenti, amministratori delegati e direttori generali di istituti o enti pubblici di nomina ministeriale o governativa; presidenti, vicepresidenti, amministratori delegati e direttori generali di società a capitale pubblico; direttori generali delle aziende autonome dello stato), ovvero in relazione all'art.17, comma 22, della L: 15 maggio 1997, n.127 che ha esteso l'applicabilità del regime di pubblicità di cui al citato art.12 al personale di livello dirigenziale o equiparato (cioè, i magistrati, gli avvocati dello stato ed i professori universitari) di cui all'art.2, commi 4 e 5, del D.Lgs. n. 29/1993, nonché al personale dirigenziale delle amministrazioni pubbliche, osservando che il diritto alla conoscenza dei dati patrimoniali delle predette persone non comporta tuttavia l'obbligo di pubblicare i dati patrimoniali relativi a tali soggetti né il diritto di conoscere il contenuto dei loro cedolini dello stipendio (parere 8 giugno 1999 reso al Comune di Viterbo; decisione riferita al Ministero delle Finanze 13 ottobre 2000). Analoga disposizione legittimante (di legge o di regolamento) non è dato invece rinvenire con riferimento ai pubblici dipendenti in generale o al personale docente di cui si tratta. Venendo al quarto quesito posto, relativo alla legittimazione del delegato sindacale ad ottenere le informazioni in questione, si rileva come in base all'art.6 del ccnl comparto Scuola 1999, che disciplina le relazioni sindacali a livello di istituzione scolastica, la conoscenza dei dati di cui si discute (ed in particolare, del collegamento fra i nominativi dei docenti, l'impegno orario assolto ed il compenso percepito) non rientri nelle attività oggetto delle relazioni sindacali, come disciplinate dalla disposizione pattizia: in particolare non rientra in quelle oggetto di contrattazione collettiva (in base al comma 3, lett b) costituiscono infatti oggetto di contrattazione le sole “modalità di utilizzazione del personale in rapporto al piano dell'offerta formativa”, afferenti alla generale sfera programmatoria e non alle singole decisioni applicative); né in quelle oggetto di informazione preventiva (in base al comma 3, lett. f) e g) vi rientrano le attività e i progetti retribuiti con il fondo d'istituto ed i criteri di retribuzione e utilizzazione del personale impegnato nello svolgimento delle attività aggiuntive, l'uno e l'altro ambito risultando strumentale alla contrattazione collettiva di cui alla lettera b) e comunque inerendo alla medesima attività di generale programmazione dell'organizzazione del lavoro); né in quelle oggetto di informazione successiva (in base al comma 4, lettera a) sono oggetto di informazione successiva i soli “nominativi” del personale utilizzato nelle attività e nei progetti retribuiti con il fondo di istituto, non consentendo la precisione della disposizione interpretazioni ampliative dell'oggetto dell'informativa).
Le osservazioni di cui sopra si riferiscono tanto all'ipotesi in cui con la locuzione “delegato sindacale” codesta Amministrazione abbia inteso riferirsi ad un componente della rsu quanto al rappresentante delle organizzazioni sindacali di categoria firmatarie del ccnl di comparto (ex artt. 9 ccnl Scuola 1999 e 5 contratto collettivo quadro per la costituzione delle rsu per il personale dei comparti delle pubbliche amministrazioni 7 agosto 1998). Esclusa la conoscibilità istituzionale, non pare profilabile ulteriormente in base alle medesime motivazioni esposte in precedenza, un interesse giuridicamente rilevante all'accesso alle informazioni di cui si discute in base alla L. n. 241/90 del delegato sindacale. Ha statuito al riguardo la giurisprudenza che: “Le organizzazioni sindacali, quali soggetti rappresentativi di interessi collettivi, non possono considerarsi titolari di un potere generale di controllo sulla attività amministrativa inteso come connotato implicito dell'attività sindacale, idoneo a consentire comunque l'accesso a tutti i documenti amministrativi, previsto dall'art. 22 L. 7 agosto 1990 n. 241, fino a configurarlo come una sorta di azione popolare diretta a consentire una forma di controllo generalizzato sull'amministrazione; tuttavia, allorquando il diritto di accesso venga azionato per garantire la trasparenza della condotta dell'amministrazione e al fine di salvaguardare un interesse giuridicamente rilevante, nonché concreto ed effettivo, di cui sia portatore anche il sindacato e non i singoli iscritti, il sindacato stesso è legittimato all'accesso in relazione ad interessi superindividuali” (C.Stato, sez. IV, 05.05.1998, n.752).
Il complesso delle osservazioni che precedono consentono di dare risposta negativa al quinto quesito posto: deve cioè escludersi l'esistenza di un obbligo di affissione all'albo dell'istituto degli atti contenenti le informazioni di cui si discute. Se cioè in base alle disposizioni citate si esclude che le stesse siano oggetto di comunicazione (a richiedenti determinati), così a fortori esse non saranno oggetto di diffusione (intesa questa come comunicazione dei dati a soggetti indeterminati o in incertam personam)
La rigidità delle conclusioni raggiunte, che la Scrivente non ignora possano creare – di fatto – turbamento e scontento all'interno dell'istituzione pur senza che ciò possa tuttavia modificare le conclusioni raggiunte sul piano giuridico, può forse risultare mitigata, all'occorrenza, dall'applicazione della disposizione contenuta nell'art. 43, terzo comma, del T.U. n, 297/94, il quale, nel confermare il divieto di pubblicazione all'albo degli atti concernenti singole persone (fra i quali possono essere ricompresi quelli di cui si discute), consente la rimozione di tale impedimento attraverso la “contraria richiesta dell'interessato”.

Pertanto, laddove codesta Presidenza lo ritenga funzionale ed utile al buon andamento delle relazioni interne, potrà essere acquisito da parte dei docenti interessati, individualmente e specificatamente, un atto di consenso alla pubblicazione, ai sensi e per gli effetti della citata norma, degli emolumenti percepiti per i titoli di cui si discute. Come ricordata da codesta Amministrazione, l'art. 9 dell'Accordo quadro 7 agosto 1998 ha stabilito le ipotesi di decadenza degli eletti alle rsu a seguito del verificarsi di una situazione di incompatibilità, identificando questa in riferimento a “qualsiasi altra carica in organismi istituzionali o carica esecutiva in partiti o movimenti politici”. Relativamente alle situazioni di incompatibilità, si è osservato che l'indeterminatezza del termine “organismi istituzionali”, causata dall'ampiezza dell'ambito applicativo dell'accordo quadro, debba essere affrontata alla luce delle caratteristiche delle istituzioni che ne sono interessate e della ratio della disposizione, finalizzata ad assicurare autonomia, genuinità ed indipendenza alle rsu nello svolgimento con pienezza di poteri del loro ruolo di rappresentanti dei lavoratori che li hanno eletti, il che del resto spiega anche l'incompatibilità relativa alla sfera politica e non solo istituzionale (scarponi S., Rappresentanze nei luoghi di lavoro, n AA:VV:, Carinci F. e D'Antona M. (a cura di), Il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni – Commentario, Milano, 2000, 1375).
Proprio in relazione alla cennata ratio ed alle competenze attribuite al Consiglio d'Istituto, sulle quali a lungo ci si è intrattenuti, la Scrivente dubita che la carica di componete nella rsu sia compatibile con la carica di componente del Consiglio d'Istituto, non potendo negarsi la qualità di “organismo istituzionale” del Consiglio stesso.
Si osserva ora che all'accertamento del verificarsi di una situazione di incompatibilità consegue l'automatica decadenza dalla carica, constatabile dalla stessa amministrazione, con le relative conseguenze in ordine al disconoscimento della titolarità delle prerogative medesime (Scarponi S., Rappresentanze nei luoghi di lavoro, cit.).
L'importanza e l'ineluttabilità di tale conseguenza unitamente alla generalità della questione in esame consigliano, tuttavia, che codesta Presidenza interpelli sul punto anche l'amministrazione centrale, unitamente alla stessa ARAN, firmataria per parte pubblica dell'accordo di cui si discute.
Si resta a disposizione per eventuali chiarimenti e delucidazioni.