(dall'Accademia di Belle Arti di Palermo)

Lunga 76 anni, la storia della riforma delle Accademie di Belle Arti, inizia nello stesso anno in cui una legge le regolamentava in una prospettiva di cambiamento. È una storia piena di difficoltà, di ambiguità normative, di pesanti retrocessioni, di disorientamenti formativi e di progressivi scollamenti dalla ricerca contemporanea. Le Accademie hanno perso identità, progetti, ruolo e hanno assunto forme di sopravvivenza, autoreferenziali, mortificanti. Negli ultimi decenni, prima di approdare nella più completa paralisi culturale e didattica, le Accademie hanno avvertito la necessità di una rifondazione capace di rintracciare le linee di una nuova progettualità formativa e di ricerca. Nella complessa realtà culturale contemporanea, una riflessione sul "sapere e sapere fare arte" che sembrava compromessa, è tornata ad essere esigenza prioritaria per una riappropriazione di tutte le peculiarità che contraddistinguono le Istituzioni di Alta Cultura richiamate dall’articolo 33 della nostra Costituzione. In questo clima, la legge di riforma 508 è stata accolta con grande entusiasmo; pur nella consapevolezza che l’articolato definitivo di essa non rispondeva a tutte le aspettative che le Accademie avevano messo a fuoco, c’era finalmente una prima pietra su cui potere costruire. Si pensava infatti, che con i decreti attuativi, con i regolamenti e gli statuti molte carenze potevano essere colmate e, inoltre, che un tempo di maturazione adeguato all’interno del MIUR avrebbe risolto il più artificioso dei problemi: il valore dei titoli di studio. Lo schema di Regolamento approvato dal Consiglio dei Ministri, in via preliminare, il 28/03/2002, ha l’indubbia capacità di cancellare queste prospettive. Lo fa cosi pesantemente che, forse, bisognerebbe convincersi che è stato ingenuo accettare la 508 e che c’è ancora, nella politica e nell’Università, chi continua a giocare con l’articolo 33 e con la riforma degli studi superiori e chi con la 509 configura improbabili paesaggi, tentando di sottrarre alle Accademie di Belle Arti il loro specifico territorio mai abbandonato nonostante questa tormentata storia.

Con il regolamento presentato dal Ministro Moratti qualcuno si è divertito ad usare l’ultimo comma dell’articolo 33: "Le istituzioni di Alta cultura, Università e Accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato", trascurando il riferimento all’autonomia, che dovrebbe caratterizzare le due istituzioni, nella volontà di tenerle "indipendenti nell’attività che le contraddistingue", pur quando lo Stato interviene per favorire la crescita della produzione culturale dell’iniziativa autonoma.

Lo spirito nobile dell’Assemblea Costituente viene stravolto e il legislatore attuale si attribuisce un potere così forte da ridurre a zero l’autonomia, prevedendo un’ingerenza così ampia da condizionare le istituzioni in oggetto. Tutto il resto è ovvia conseguenza, triste conseguenza che va totalmente rifiutata.

A noi, alla nostra dignità, al nostro impegno per l’Accademia, questa ingerenza appare insostenibile proprio alla luce dei valori che il dettato costituzionale riconosce, e che non si possono mantenere con un’autonomia svuotata.

Un provvedimento che determina quest’effetto non può che essere incostituzionale. Forti di questa convinzione, impegnati da anni in una riflessione sul proprio possibile statuto, convinti di dovere esprimere un grande impegno per un indiscutibile riconoscimento delle Accademie di Bb. Aa. assieme alle Università come Istituzioni di Alta Cultura per le quali è dettata la norma costituzionale dell’articolo 33, i firmatari sottoscritti (professori dell’Accademia di Belle Arti di Palermo) chiedono:

Nel caso che queste richieste fossero disattese il gruppo dei docenti firmatari utilizzerà tutti gli strumenti utili al sostegno della propria legittima rivendicazione, coinvolgendo le strutture della Comunità Europea e iniziando le opportune azioni legali presso il Tribunale Europeo e la Corte Costituzionale del nostro Stato, poiché l’attuale regolamento prefigura uno specifico danno della nostra realtà.

Palermo, 12 aprile 2002